Adesso che la Mobilità Elettrica non è più solo una innocua mania di pochi pazzi ecologisti, ma i sussulti iniziali della più massiccia trasformazione industriale della Storia, diventano sempre più frequenti critiche provenienti da voci autorevoli; ultimo in ordine di tempo, questo articolo comparso nientepopodimenoché sul sito del World Economic Forum.
Cerchiamo dunque di rispondere a queste critiche in modo fattuale, raggruppandole per temi. Il primo che affrontiamo è quello delle batterie.
Le critiche
Sono sostanzialmente tre:
- la questione etica attorno all’estrazione dei metalli rari (soprattutto il Cobalto, il cui primo produttore al mondo, la Repubblica Democratica del Congo, effettivamente si piazza maluccio per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e del lavoro minorile)
- la questione del riciclo: cosa faremo delle tonnellate di batterie che tra qualche anno non utilizzeremo pià perché esauste?
- la questione della sicurezza: le auto elettriche, in caso di incidente prendono fuoco, e si tratta di incendi difficilissimi da spegnere
Le risposte
[Etica #1] – ma come mai questa sensibilità alle condizioni lavorative ed agli impatti ambientali delle attività estrattive non ha trovato il modo di farsi ascoltare negli ultimi 170 anni (il primo pozzo di petrolio fu scavato nel 1846 nel Caucaso, allora parte dell’Impero Russo) ? O stiamo dicendo che l’attività estrattiva del petrolio non causa guerre, sfruttamento o distruzioni ambientali?

[Etica #2] – le batterie agli ioni di litio non nascono con l’auto elettrica: introdotte da Sony nel 1991, questo tipo di celle hanno inizialmente trovato (e trovano tuttora) applicazione negli smartphone e nei computer portatili che ancora oggi costituiscono oltre il 50% del volume totale di batterie agli ioni di litio. Ancora una volta, non sembra che i difensori dei diritti umani abbiano levato la loro voce fino ad oggi…

[Etica #3] – la ricerca sta allontanandosi dalla chimica catodica a base di Cobalto in favore di formulazioni a base di Manganese ed altri metalli. Certo, ci vorrà del tempo, ma l’enorme potenziale del mercato delle auto elettriche se mai accelererà questo sviluppo sulla spinta delle Case, oltre che per ragioni etiche, anche per contenere la volatilità (pilotata in massima parte dalla speculazione) del prezzo di questi metalli rari e metterne in sicurezza l’approvvigionamento.
[Riciclo #1] – la batteria non diventa inutilizzabile dopo pochi anni come si vuol fare credere. Ovviamente è difficile definire una “formula” universale, ma i dati disponibili da parte di Tesla (il costruttore che di gran lunga ha il maggior numero di vetture elettriche in strada) parlano di batterie che dopo 200.000 km hanno ancora mediamente oltre l’80% di capacità residua.

[Riciclo #2] – una batteria che non può più essere utilizzata per autotrazione può ancora avere una vita utile di molti anni, ad esempio in applicazioni statiche: nella Johan Cruijff ArenA di Amsterdam è stato inaugurato nel luglio 2018 un impianto di illuminazione alimentato da pannelli solari che immagazzinano l’energia in un sistema di accumulo costituito da batterie di Nissan Leaf in gran parte usate.
[Riciclo #3] – ma la considerazione più cogente è costituita proprio dall’alto valore dei metalli (Cobalto, Litio, Nichel e Manganese) presenti nelle batterie, che incentiva lo sforzo perché a fine vita questi vengano riciclati: la finlandese Fortum, ad esempio, ha recentemente annunciato di avere messo a punto un procedimento che consentirà di recuperare fino all’80% dei metalli rari utilizzati nelle batterie.
[Sicurezza #1] – giova ricordare che l’attività di circolazione ad elevata velocità di masse importanti è – di per se stessa – estremamente pericolosa, sia da un punto di vista semplicemente dinamico (un oggetto che pesa una tonnellata che viaggia a 50 km/h comporta una quantità assai importante di energia cinetica) sia perché, per potersi muovere, il veicolo trasporta a bordo energia in forma estremamente “compressa”: si tratti di benzina, di idrogeno o di energia elettrica gli effetti del suo rilascio improvviso sono praticamente identici: in tutti i casi, non si tratta tanto di una pericolosità inerente del combustibile (pur ricordando che benzina, idrogeno e litio non fanno bene alla salute), quanto della capacità dei sistemi di contenimento dell’energia di sopravvivere ad un impatto catastrofico evitando la “palla di fuoco” . Ovviamente in caso di incidente le tecniche di spegnimento devono essere adeguate alla situazione: il dipartimento dei Vigili del Fuoco del Ministero dell’Interno (già abituato ad incendi di origine elettrica) ha a questo proposito diramato a novembre 2018 una circolare nella quale afferma che “[…] non risulta che i veicoli elettrici presentino un rischio di incendio e/o esplosione maggiore rispetto ai veicoli tradizionali […]”
Ho letto che gli incendi di auto elettriche nel mondo sono statisticamente, fatte le proporzioni, rispetto agli incendi di auto italiane, 1 ogni sessantaquattro auto… quindi bruciano molto molto meno…(ho il PDF ma non si può allegare…un documento di Guido zaccarelli presidente vicario APC prevenzione incendi data Bologna 17/10/2018)
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Molto interessante. Se non si tratta di documento riservato e ha voglia di inviarmelo, lo pubblico molto volentieri (gianni@onewedge.com)
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