Una nuova UX per le nuove automobili

La User Experience (UX in gergo) della automobile è un esempio di tipico di UX cresciuta per stratificazioni successive: ogni elemento di controllo è caratterizzato (da un punto di vista logico) da una coppia attuatore-misuratore anche se per evitare un sovraccarico informativo che porterebbe il cruscotto delle nostre automobili ad assomigliare a quelli di un cacciabombardiere, molti attuatori sono stati resi automatici e quasi tutti i misuratori prendono vita solo se i valori escono dal range operativo previsto, trasformandosi in allarmi.

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Il cruscotto di un caccia F-16

Essenzialmente però, man mano che si aggiungevano sistemi e circuiti, la UX della vettura si è complicata un po’ alla volta; naturalmente non è mancato chi ha provato a proporre una semplificazione radicale della plancia come ha fatto Tesla, sostituendo alla miriade di bottoni e pulsanti un unico pannello frontale che li raccoglie tutti.

Ma la radicalità di questa proposta è – a mio parere – solo apparente: i comandi infatti non scompaiono, ma vengono raccolti in un unico luogo configurabile creando però nel contempo anche un punto di vulnerabilità catastrofico: un malfunzionamento al tablet centrale, infatti, rende la Tesla praticamente impossibile da guidare.

Una soluzione al ridisegno radicale la propose – in altro campo, ma con grande successo – Jonathan Ive di Apple, teorizzando che la maggior parte dei comandi debbano rimanere nascosti perché nell’uso comune non servono se il sistema operativo si comporta bene: la logica proprietaria di MacOS (contrapposta all’apertura di Windows) consentono infatti di avere un maggior controllo sulle interazioni tra hardware, programmi applicativi e software di base di un computer, rendendo percorribile una soluzione semplificata che comunque – non si dimentichi – viene preferita da meno del 10% dell’utenza.

L’automobile è stata fino ad oggi per definizione un sistema completamente proprietario: estensioni o modifiche sono sempre state sconsigliate quando non direttamente impedite, almeno da un punto di vista legale. Si presterebbe dunque bene ad un ridisegno in stile Apple, mettendo però forse a rischio gli aspetti emotivi e sensoriali che sono potenti influenzatori del processo di acquisto e ponendo in dubbio i valori soft associati alle marche.

“Standardizzazione” è insomma ancora una brutta parola nel settore Automotive, dominato dalla paura che il prodotto – soprattutto quello Premium – perda le sue caratteristiche distintive. Questa ricerca dell’esclusività si manifesta prima di tutto e principalmente nell’esperienza di utilizzo, mentre nel backstage la standardizzazione è assai più frequente di quando non si creda, anche perché spesso le filiere a monte sono dominate da un numero relativamente ridotto di terzisti che producono per numerosi marchi concorrenti.

Dunque è raro che soluzioni UX, per quanto valide, vengano adottate in modo generalizzato, ma ogni Casa è alla continua ricerca spasmodica di un qualcosa di diverso da quello che hanno i concorrenti: tra i due estremi di dashboard design visti sopra, Hyundai propone un design intermedio che però non sembra il frutto di un ripensamento radicale nel rapporto tra uomo e macchina ma piuttosto un andare “per tentativi” nella speranza di prenderci.

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Il cambio radicale di base tecnologica e l’ingresso prepotente ancorché assai graduale dei sistemi di guida autonoma offrono l’opportunità di ripensare la UX in modo profondo, andando alla ricerca di applicazioni che forse oggi non immaginiamo neppure.

Aneddoto finale: quando ero studente di Ingegneria, verso la metà degli anni ’70, sostenni un esame di Optoelettronica che aveva come oggetto le applicazioni industriali del laser, inventato una quindicina di anni prima. Avendo ancora in casa il libro di testo ho potuto controllare che si ipotizzavano applicazioni nelle telecomunicazioni a grande distanza, in strumenti per taglio di potenza di materiali come l’acciaio o la pietra e, naturalmente in campo militare. Nessuno immaginava che il 90% dei laser prodotti al mondo sarebbe finito a leggere dischi o codici a barre nelle casse dei supermercati.


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