Un anno di appuntamenti con oltre 100 gestori di flotte, operatori e comuni del Nord Italia mi hanno insegnato molte cose, ma due spiccano su tutte:
- le aziende italiane sono interessate alla Mobilità Sostenibile (ed Elettrica in particolar modo)
- la transizione verso la Mobilità Elettrica deve seguire essa stessa criteri di sostenibilità organizzativa, culturale ed economica
La prima di queste lezioni si desume dalla relativa facilità con la quale una società minuscola e sconosciuta come OneWedge riesce ad ottenere l’attenzione di imprese colossali: nel corso 2017, 338 richieste di appuntamento hanno originato ben 100 conversazioni.
Dato che non ritengo di avere capacità persuasive fuori del comune, l’unica spiegazione possibile è che il tema sia esso stesso di grande interesse, e lo fosse anche prima del mio contatto. In effetti, tutte le aziende incontrate confermano che stanno già cercando di trovare “la quadra”, ed alcune addirittura hanno avviato piccoli progetti pilota.
La seconda lezione invece è il risultato diretto di queste conversazioni: la sensibilità ambientale infatti – pur presente – non è un motivatore sufficiente a superare le difficoltà di carattere organizzativo cui un progetto di mobilità sostenibile dà luogo.
C’è poi la considerazione che, da un punto di vista strettamente economico, la mobilità sostenibile rappresenta una risposta percorribile solo in alcuni scenari (abbiamo cercato di sviluppare una mini-casistica in questo articolo). Per un decisore che, tipicamente, è il direttore degli Acquisti questo ostacolo ha una certa importanza, pur non essendo in assoluto l’unico criterio di scelta.
Inoltre vi sono scenari dove – ancora – non abbiamo il prodotto adatto: cosa rispondiamo all’azienda di cantieristica che usa in maggioranza utilitarie a trazione integrale? O al corriere espresso che ha bisogno di furgoni da 15 quintali? O all’informatore medico che percorre 70.000 km / anno?
Infine muoversi elettricamente è anche una trasformazione di tipo culturale: guidare elettrico è diverso dal guidare termico, sia nello stile di conduzione del veicolo, sia nei ritmi che scandiscono la giornata. Alcuni timori e pregiudizi sono in parte irrazionali e possono essere superati facilmente sperimentando questa nuova modalità, ma si tratta di un processo che va affrontato con gradualità. Natura non facit saltus. diceva Linneo e, anche se la meccanica quantistica ha minato questo principio fondamentale, esso è ancora sostanzialmente valido per i processi trasformazione delle organizzazioni.
Dunque è a mio parere sbagliato affrontare il tema con piglio giacobino, puntando su ipotetiche responsabilità ambientali il cui accertamento è affidato a studi e valutazioni (ne abbiamo fatte molte anche su questo blog) che sono per loro natura imperfetti e soggettivi.
La Mobilità Elettrica NON È la soluzione di tutti i problemi di inquinamento, né tantomeno una soluzione applicabile a tutte le situazioni e profili di utilizzo.
Il nostro obiettivo dovrebbe essere partire nella sua applicazione da quegli scenari dove la trasformazione è GIÀ OGGI MATURA, dove esistono i prodotti, dove le tecnologie sono mature, lasciando da parte visioni manichee del mondo che offrono di quest’ultimo una rappresentazione troppo semplificata.
L’affermazione “La Mobilità Elettrica NON È la soluzione di tutti i problemi di inquinamento” francamente fa un po’ ridere, perché è miope, priva di fondamenti scientifici e soprattutto in molto lontano dalla realtà. Mi potrei soffermare ore a raccontare i dati scientifici raccolti dal Politecnico di Torino (prof. Mario Grosso) che hanno testato un’auto elettrica (quella del professore) per verificare i lati positivi e quelli negativi. Potrei anche raccontare degli studi fatti dall’ RSE (Ricerca Sistema Energetico) nel quale dimostrano con analisi di tipo LCA (Life Cycle Assessment, tutto il ciclo di vita dell’auto elettrica) che le auto elettriche “sono tra le soluzioni più efficaci” contro l’inquinamento in senso generale ed assolutamente efficace in termini locali con benefici immediati anche nel breve termine (questo perché non ci sono emissioni sul posto di utilizzo).
Per quanto riguarda l’affermazione “né tantomeno una soluzione applicabile a tutte le situazioni e profili di utilizzo” la ritengo molto infantile 😀 perché ovviamente non si è ancora aperto un vero e proprio mercato … una legge dell’economia di mercato è “incontro tra domanda e offerta” … se non c’è richiesta non c’è offerta. Attualmente, come ben descritto inizialmente in questo articolo, sta nascendo la domanda, si sta creando una cultura nuova dell’uso dell’auto (probabilmente in futuro autopilot per gran parte dei veicoli almeno nelle città) … ricordo che l’auto endotermica vanta un centinaio d’anni di “inoculamento” nelle menti della società specialmente in quelle in cui c’è l’industria dell’auto … quante case automobilistiche sono totalmente elettriche nel mondo?
La conclusione dell’articolo la trovo poco reale, probabilmente chi l’ha scritta non ha un’auto elettrica e non ha visto come le aziende la stanno usando per risolvere le proprie esigenze (anche facendo ricerca).
Posso essere assolutamente certo che a breve le case automobilistiche proporranno ANCHE in Italia soluzioni più performanti, è una questione di tempo (per fortuna breve). Bisogna essere lungimiranti e preparare tutta la società al cambiamento …
CONCLUDO: un’auto endotermica (ANCHE A METANO), ha un’efficienza che si aggira attorno al 20%-25% (i migliori senza considerare il combustibile) un’auto elettrico raggiunge il 60-70% (se si considera dalla batteria)a parità di utilizzo.
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Lei è la dimostrazione più lampante della necessità del mio post. Tutte le mie affermazioni sono suffragate da dati e da considerazioni molto quantitative, come potrà capire da sé se avrà voglia di leggere il resto di questo blog. Comunque le posizioni ideologiche non razionali sono ovviamente del tutto legittime. Semplicemente io non le condivido.
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